TERAMO – E’ il quadro di una persona fragile, affetta da attacchi depressiva, che aveva spesso alterazioni dell’umore e intenzioni di suicidio, quello che viene descritto al processo in Corte d’Assise di Giuseppe Santoleri. Lo disegna il medico di famiglia, chiamato a testimoniare ieri mattina dal pm nel dibattimento che vede imputati Giuseppe e Simone Santoleri, rispettivamente ex marito e figlio di Renata Rapposelli, la pittrice originaria di Chieti e residente ad Ancona, trovata senza vita nel novembre 2017 a un mese di distanza dalla sua scomparsa da Giulianova. Se l’anziano padre soffriva di debolezza nei confronti dell’alcol, al figlio Simone Santoleri il medico Giovanni Iaconi ricorda di non aver mai prescritto visite che potessero riguardare la sfera psichiatrica. Un aspetto, questo, del quadro sanitario del figlio della vittima, importante anche in riferimento alle possibili motivazioni che avevano spinto la donna a tornare nell’abitazione dell’ex marito a Giulianova, dopo tanto tempo, il 9 ottobre 2017. In aula infatti è stato fatto riferimento a un possibile tumore diagnosticato al figlio Simone, la cui notizia avrebbe preoccupato molto la madre, fino a spingerla a raggiungerlo a Giulianova. Ma il medico di famiglia avrebbe smentito l’ipotesi: Simone credeva di averlo, ma non risulterebbe accertamento diagnostico o clinico che lo confermi. Il resto dell’udienza è tornata ad essere tecnica sul fronte delle indagini fatte per individuare eventuali prove contro i due imputati, come la verifica dell’alibi di quel giorno di ottobre di due anni fa quando due telecamere lungo il tragitto che da Giulianova porta nelle Marche avrebbero registrato la Fiat Seicento di colore bianco di Giuseppe Santoleri. Secondo padre e figlio a bordo c’erano Giuseppe e l’ex moglie, perchè lui aveva accettato di riaccompagnarla ad Ancona, lasciandola però a Loreto. Il pubblico ministero Enrica Medori ha sempre respinto tale ricostruzione: a bordo c’erano padre e figlio che trasportavano il cadavere della Rapposelli, che avevano strangolato, per liberarsene lungo la riva del Chienti, nel Maceratese, dove un mese dopo fu ritrovato in avanzato stato di decomposizione.
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